Volti nuovi, dalla fisionomia indefinibile e affascinante, si muovono per le nostre città. Figli degli incontri interrazziali, sono i creoli italiani. Questi nuovi cittadini fanno breccia senza clamori e sempre più numerosi nella nostra realtà nazionale ed apparentemente monoculturale, rompendo la dialettica che contrappone noi alle altre razze e diventando spazi nel mezzo, figure di passaggio che non fanno parte di nessun gruppo. Il termine “creolo” (criollo, kriol, creole), ancora poco usato nel nostro lessico, è molto noto nelle società dell’America latina e dei Caraibi, usato per indicare quegli individui nati dall’unione di genitori francesi, spagnoli o portoghesi con indios nativi o individui di discendenza africana. Con sempre maggiore forza emergerà una nuova umanità che avrà tutte le caratteristiche della umanità creola: il figlio nato e residente a Pechino di un italiano che ha sposato una haitiana, sarà diviso e combattuto fra più lingue, più storie, preso nell’ambiguità torrenziale di un’identità mosaico. Creoli?!? Per definire un fatto sociale per noi abbastanza nuovo, è la parola preferibile. Più ampia ed indefinita, con il plusvalore dell’imprevedibilità creativa dei risultati (come le lingue creole!), sembra migliore rispetto agli altri sinonimi possibili: meticci, mezzosangue, mulatti…, troppo legati alla calcolabile specificità razziale e genetica. Del resto, la “creolità” fisica, che in alcuni luoghi del pianeta si è realizzata già da molto tempo, è solo il punto di partenza. Il punto d’arrivo è la la compresenza simultanea di elementi culturali molteplici, che ormai si da in qualsiasi angolo della terra ed in qualsiasi persona, a prescindere dalle origini genetiche. La nazione, un mito formato dalle varie intellighenzie, rimane in vita solo nei discorsi che la rendono immaginabile, mentre sulla scia dei flussi migratori e mediatici mondiali, avvengono continue contaminazioni trasversali fra culture, che portano a stili di vita sempre più ibridi. Il mondo intero si creolizza, perché le culture in contatto con le altre, non possono resistere ai continui scambi e alle reciproche influenze. I mondi lontani abitano nella porta accanto, e ciò che è familiare emigra e può risiedere anche a molta distanza. Usciamo di casa e balliamo salsa, mangiamo couscous e ascoltiamo musica rap, le ragazze si fanno le treccine alla maniera africana. Al cinema Denzel Washington, un afroamericano, diventa un sex symbol, i nuovi eroi hanno un colore diverso dal nostro, la televisione (le rare volte che è buona tv) ci racconta altre culture: si creano miti e punti di riferimento non più solo italiani. La “creolità” è l’aggregato in cui interagiscono e transagiscono gli elementi culturali caraibici, europei, africani, asiatici, levantini che l’evoluzione storica ed economica hanno riunito sullo stesso suolo ed i creoli diventano simboli di una nuova società mondiale. I versi di Josè Martì, poeta cubano “Yo vengo de todas partes y hacia todas partes voy “, definiscono la vita culturale dell’uomo dei nostri tempi: un essere che si ridefinisce costantemente a partire dal permanente incontro con le culture degli altri mondi. Il multiculturalismo ormai planetario, ci coglie forse impreparati? Le nostre menti italiane, ancora irrigidite in un impasto culturale classicheggiante, animate dal pregiudizio di una supposta superiorità culturale, che risale sempre senza originalità fino ai perduti fasti dell’impero romano, dovrebbero darsi liberamente ad una visione più ampia del mondo e abbandonare la nostra pretesa universalità (unico verso), rieducandosi alla luce della pluralità multietnica. Per dirla con Sartre “bisogna estirpare il colono che è in noi” (forse sarebbe meglio “centurione” nel nostro caso!) e cominciare a pensare come un peul, un indio, come un haitiano od un sikh. Si tratta di temi inerenti ai problemi dell’integrazione fra popoli, del colloquio fra i mondi, della comprensione delle diversità da cui non si può prescindere. Abbiamo storicamente disponibili due modelli: quello delle società già creole e realizzate sebbene con dei conflitti (America Latina e Carabi); e quello wasp (white anglosaxon protestant) con la sua ideologia del melting pot nordamericano (per altro fallita), il multiculturalismo alla maniera sassone e yankee, fatto di conflitti e di separazioni, che prevede un’omogeneizzazione delle differenti componenti etniche in un’unica cultura. Considerato il diverso momento storico mondiale, e senza fare appello al “buonismo” italiano o ad una mentalità più tollerante, che forse poggiano sulla consapevolezza rimossa di essere noi stessi dei creoli atavici (l’unità d’Italia è un fatto relativamente recente!), ci si chiede se in Italia l’integrazione avrà un percorso diverso e meno conflittuale che altrove nel passato. Facciamo solo finta di aver superato le problematiche legate alla recente massiccia immigrazione. Siamo già alla generazione successiva, e si pone l’imperativo di imparare a stare con gli altri nella massima apertura della presenza e della contaminazione quotidiana. Intendere le differenze e salvarle, anche amarle, vuol dire scegliere nei caratteri degli altri e delle altre culture senza paura di perdere la propria identità, ma piuttosto esaltare le differenze fra i vari gruppi che ormai compongono la società.
I creoli portatori della differenza, sono i simboli dell’evoluzione del mondo dove la creolità è il mondo diffratto e ricomposto in un vortice di significati veicolati da un unico significante. Esemplificano il modo di sopravvivere nella diversità, lontano dall’unico e dall’identico, perché oppongono all’universalità e alla purezza scismatica, tutte le opportunità dell’armonizzazione cosciente delle diversità preservate: la diversalità.

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