Alcuni dei miei amici creoli

Volti nuovi, dalla fisionomia indefinibile e affascinante, si muovono per le nostre città. Sono i figli degli incontri multietnici, dei matrimoni misti fra un italiano ed una persona di altra etnia: i creoli italiani. Questi nuovi cittadini fanno breccia senza clamori e sempre più numerosi nella nostra realtà nazionale ed apparentemente monoculturale, rompendo la dialettica che contrappone noi alle altre razze e diventando spazi nel mezzo, figure di cui non risulta immediato definire il gruppo d’appartenenza. 

Il termine “creolo” (criollo, kriol, creole), ancora poco usato nel nostro lessico, è molto noto nelle società dell’America latina e dei Caraibi, e sta a indicare quegli individui nati dall’unione di genitori francesi, spagnoli o portoghesi con indios nativi o individui di discendenza africana. Con sempre maggiore forza emergerà una nuova umanità che avrà tutte le caratteristiche della umanità creola: il figlio nato e residente in Italia di un tedesco che ha sposato una haitiana, sarà diviso e combattuto fra più lingue, più storie, preso nell’ambiguità torrenziale di un’identità mosaico. 

Per definire un fatto sociale per noi abbastanza nuovo, creoli è la parola preferibile. Più ampia ed indefinita, con il plusvalore dell’imprevedibilità creativa dei risultati (come le lingue, la cucina, la musica creole), sembra migliore rispetto ad altri possibili sinonimi: meticci, mezzosangue, mulatti…, troppo legati alla calcolabile specificità razziale e genetica. Del resto, la “creolità” fisica, che in alcuni luoghi del pianeta si è realizzata già da molto tempo, è solo il punto di partenza. Il punto d’arrivo è la compresenza simultanea di elementi culturali molteplici, che ormai si da in qualsiasi angolo della terra ed in qualsiasi persona, a prescindere dalle origini genetiche.